“Non esiste una lista dei Vescovi”, è stato sintetizzato così il chiarimento della Conferenza Episcopale di Basilicata rispetto a commenti e reazioni che ci sono stati a seguito del documento scaturito dalla “Camaldoli” lucana.
Non c’era alcun dubbio che fosse così.
Nei giorni scorsi ne ho parlato, e ribadisco che ritengo importante il contributo che in questi mesi è stato dato dal laicato cattolico e che continua ad essere offerto con la creazione di uno spazio di ascolto, di confronto e di elaborazione.
Siamo in tanti a cercarlo, da tempo.
Sembrerà strano, ma questa necessità alcuni di noi l’ avvertivano anche quando rivestivano ruoli di responsabilità e provavamo, non senza fatica, su petrolio, acqua e sanità, su servizi e diritti di cittadinanza, per citare solo alcuni temi, ad offrire uno sguardo critico, dialettico, propositivo. Oggi si sarebbe detto “discontinuo”.
Anche quando eravamo lì si avvertiva l’assenza di uno spazio, reso, per certi aspetti, impraticabile internamente e impermeabile esternamente.
Se con il comunicato del 14 agosto i Vescovi intendono rilanciare la costruzione di uno spazio di ascolto – non entrare in campagna elettorale – è necessario che la politica colga questo segnale.
Ci sono due modi per cogliere e rispettare il messaggio della Conferenza Episcopale di Basilicata. Uno è quello di lasciar fare, pensare che le singole persone possano incrociarsi in questo spazio, uno ad uno. È una strada. Comunque interessante.
L’altra, quella che a me sembra valorizzarne il messaggio e il contributo, è quella di far incontrare innanzitutto le comunità, spazi di rappresentanza collettiva senza escludere la partecipazione singola.
Tuttavia si scelga una via, anche per evitare di strattonare il messaggio della Chiesa lucana a seconda della convenienza immediata, della “strettola” elettorale nella quale infilarsi.
È arrivato il momento di fare una riflessione, profonda e di significato, così come il momento e gli interlocutori richiedono.
La scrivo su questo mio diario.
In questi giorni l’appello del laicato cattolico per una “ricostruzione della speranza”, ad esito del Cammino sinodale, e la lettera di Don Marcello Cozzi sulla riapertura della Chiesa della Trinità a Potenza, con il suo incipit (“Avete vinto voi”) così scomodo ma così interrogante, rappresentano una espressione importante, non l’unica, delle domande, dei bisogni, delle necessità che attraversano la società lucana in questo momento; sono istanze, seppur diverse per contenuti e mondi, che trovano radice in un’ansia mai sopita, in una aspettativa di rinascita, in un desiderio di cambiamento.
Non vivo pienamente questi mondi e per questo ne ho più rispetto.
Non sfuggirà agli analisti, ai commentatori di ogni “parrocchia” ed ai dirigenti che questa “domanda di politica” si era già rifugiata, in questi anni, in movimenti e sensibilità che avevano quale presupposto il dichiarare e praticare una distanza/diversità dai classici blocchi politici ed elettorali.
In Basilicata, alle elezioni regionali del 2019, così come nelle città di Potenza e Matera, si è arrivati a registrare numeri e risultati importanti.
Cinque anni fa ha affidato il suo voto a queste espressioni della politica circa un quarto degli elettori (nonostante un elevato astensionismo) a cui andrebbe aggiunto un voto di cambiamento intercettato dalla destra e quello, in parte, “resistente” nel centrosinistra
A Potenza al ballottaggio vi è stata una “quasi vittoria”, a Matera una piena vittoria.
Spazi larghi, risultati importanti ma non sempre vincenti. E soprattutto non sempre vissuti da “sensibilità” convergenti o che possano necessariamente unirsi verso un’offerta politica di reale cambiamento.
Il rischio è che l’approdo di queste istanze possa, se non correttamente interpretato, addirittura risultare divisivo da una parte e raccolto con semplificazione politica, nelle soluzioni declamate e spesso rivelatesi impraticabili, nella proposta di una destra abile solo a restare unita al momento della conta elettorale, si veda il caso eclatante della vittoria della Lega a Potenza.
Ecco perché è necessario superare la stagione non dei veti, o non solo, ma ancora del “tutti uguali”, “tutto clientele”, etc., quasi come se ci si volesse rifugiare nell’irresistibile semplificazione “eticista”, dando l’impressione di tenersi distanti dalla responsabilità della scelta, della visione e della pratica quotidiana.
Ecco perché le posizioni alimentano posizionamenti e fraintendimenti, legittime aspirazioni rese possibili, forse, dal “togliti che mi ci metto io”, da una sorta di civismo che ha radici, a varia profondità, nel terreno che si vorrebbe dissodare.
Tonio Boccia in una lettera scritta al segretario del Pd di Basilicata Giovanni Lettieri qualche giorno fa, richiama il ruolo della politica, la definizione di una coalizione e il metodo per la scelta del candidato presidente, un rinnovamento possibile e sostenibile nelle liste a seconda di storie, sensibilità, radicamento e regole di ciascun soggetto politico che darà il suo contributo a alla costruzione del centrosinistra.
Ho già detto del documento del “laicato cattolico” e del suo ultimo appello alla responsabilità contro ogni tentazione clientelare, quasi che ciascuno di noi non sapesse che quel terreno rappresenti presupposto necessario ed ineludibile della buona politica; anche la lettera aperta di Don Marcello Cozzi prefigura una aspirazione, un cammino di riconciliazione dentro la comunità, per dirla con le sue parole.
Per mia conoscenza e per i mondi in movimento che vanno mostrandosi in tutto il loro portato di necessità, le strade intraprese rischiano di essere diverse, potrebbero divergere, sembrano inseguire destinazioni lontane fra di loro.
Su questo vale la pena interrogarsi perché sarebbe sbagliato non fare questa analisi e limitarsi, al “chi sono io e a chi sei tu”, “se c’è tizio non ci siamo noi”, “se c’è caio non mi candidato io”, “facciamo una lista noi e un’altra voi”.
Tradotto. Gli smottamenti nel centrosinistra, alcuni già in corso, potrebbero essere determinati da spinte dal basso e dall’alto.
Una morsa che rischia già oggi di minare una competizione elettorale, di indebolire l’alternativa e di consegnare per inerzia il governo della Regione alla destra, questa destra che sconfessa se stessa proprio sul terreno su cui avrebbe dovuto dimostrare di cambiare: la sanità.
E allora si faccia un passo avanti verso il cittadino, provando ad abitare la realtà e a declinare gli appelli con strumenti e soluzioni, e ovviamente con una classe dirigenti che ne possa interpretare al meglio questo percorso.
Credo in questo spazio ci si possa ritrovare in tante e in tanti, uniti verso una direzione possibile.
Alcuni, a destra, cianciano di rischio di restaurazione, e lo fanno perchè hanno paura di dover tirare le somme rispetto alla loro improduttiva gestione di governo; io penso che le istanze che sono venuti avanti in questi mesi siano tutt’altro che restaurazione, anzi, possono rappresentare innovazione, rinnovata coesione regionale, energia gentile verso un cambiamento praticato e non blaterato.
Praticare soluzioni, elaborare risposte che traducano le visioni di strumenti condivisi; questo è il mestiere della buona politica.
Come? Facendosi le domande giuste.
L’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile varata dall’ONU nel 2015 è l’asse sui muovere proposte, programmi e scelte?
Il 2015, anche l’anno dell’enciclica Laudato Sì di Papa Francesco, circa 180 Paesi nel mondo hanno scelto questi indirizzi che non sono stati per la gran parte attuati.
La Basilicata vuole essere dentro questa sfida?
E’ sopportabile una sanità in cui per curarsi è necessario aspettare mesi e mesi? È solo un problema di nomine e clientele oppure occorre una riflessione profonda su domanda di salute, risorse, programmazione, modelli, organizzazione, tecnologia, medici che mancano, università, etc etc?
Pensiamo che lo spopolamento delle aree interne sia solo un problema di etica e di mala gestione oppure siamo attraversati da un fenomeno epocale e complesso di spostamento dalle aree rurali alle città, dalla montagna alla pianura, dal sud al nord, dall’Italia all’estero?
C’è una questione meridionale sempre più allarmante, che si declina in un contesto nuovo e particolare, quello euromediterraneo e con obiettivi del PNRR che devono essere necessariamente raggiunti per ridurre i divari tra territori, generi e generazioni. Siamo di fatto alla vigilia di un nuovo ciclo di programmazione di fondi comunitari e fondo di coesione e sviluppo.
Ed ancora, la denatalità, questione nazionale ed ancor più incisiva nel contesto regionale porta con sé la possibile insostenibilità dei servizi all’infanzia e della prossimità del sistema dell’istruzione primaria; ma è solo questione di cattiva politica l’assenza di risposte ad un problema di servizi destinato ad incidere fortemente sulla qualità della vita dei lucani, oppure la questione merita risposte innovative, sperimentali, che ripensino progetti e modelli formativi, capitalizzino le soluzioni tecnologiche già in nostro possesso, che favoriscano alleanze tra operatori dell’apprendimento e famiglie?
Come intendiamo volgere lo sguardo al Mediterraneo?
E potremmo continuare riferendoci ad una legislatura, la prossima, che si chiuderà con la decisione di rinnovare o meno la concessione ad ENI per altri dieci anni trovandosi sul nodo complesso della scelta lavoro/ambiente, bollette delle famiglie/salute. Sarà possibile ed in che modo si pensa di mettere al centro una transizione che non lasci indietro nessuno, non faccia perdere un posto di lavoro, ne creo di nuovi e che incroci il futuro?
È ancora una opportunità la risorsa idrica e come si intende costruire un equilibrio tra solidarietà e tutela, valorizzazione ed opportunità, stato e regioni?
E sul futuro di Stellantis, e dell’indotto, possiamo superare enuncianzioni di principio ed evitare che la questioni ci sfugga di mano come un’anguilla?
Quali strumenti e soluzioni per ridefinire un trasporto pubblico locale, caso più unico che raro, che aspetta una gara da 5 anni – proroghe da decine e decine di milioni di euro – con servizio ancora ancorato agli Ottanta?
Ripensiamo l’agricoltura alla luce delle transizioni ecologica e digitale, di cambianti che attraversano produttori e consumatori, in una condizione in cui ruralità ed ambiente potrebbero determinare condizioni distintive e diverse rispetto al passato?
Siano in una Regione che anche grazie al nostro contributo dopo decenni ha cambiato le regole di funzionamento della sua “democrazia” (Statuto, legge elettorale, Fondo Unico per le Autonomi Locali, etc etc) Siamo pronti ad attuale ed eventualmente a migliorarle completando un assetto che semplifichi la vita a cittadini ed imprese?
E potremmo andare oltre.
Sollevo queste domande – ce ne potrebbero essere tante altre – perché le ritengo parte fondamentale nella definizioni di “spazi” e “campi”, per elevare la qualità del dibattito e della proposta nell’interesse comune delle lucane e dei lucani.